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CARLA CUCCO

Antisemitismo nascosto nei simboli?

Abstract

La sentenza del Tribunale di Forlì di assoluzione dell’imputata dal reato di cui all’art. 2 della l. 205/1993 (nota come legge Mancino) di conversione del d.l. 122/1993, costituisce l’occasione per analizzare la disciplina normativa rilevante in ipotesi di manifestazioni antisemite, realizzate mediante richiami apologetici al fascismo e al nazismo. Dopo aver descritto la vicenda oggetto del giudizio, analizzate le motivazioni del giudice primae curae e dato atto dell’intervenuta pronuncia della Corte di Cassazione, non ancora depositata, con la quale si contesta la scelta della fattispecie incriminatrice compiuta nel capo di imputazione, si richiameranno le principali disposizioni normative in materia. In particolare, ci si concentrerà sui rapporti tra le fattispecie di cui all’art. 5 della legge Scelba n. 645 del 1952, attuativa del primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che sancisce il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, e l’art. 2 della legge Mancino, che sanziona il compimento di manifestazioni di ostentazione di simboli propri di organizzazioni o gruppi “esistenti” portatori di una ideologia estremista. Successivamente, le disposizioni citate saranno messe a confronto con l’art. 604-bis comma 3 c.p., il quale costituisce l’ultimo approdo del legislatore nazionale in materia di contrasto all’antisemitismo. L’analisi sarà volta a verificare quali problematiche solleva la scelta di ognuna delle disposizioni richiamate e in ultima istanza a quali esiti si sarebbe giunti prediligendo per il capo di imputazione la fattispecie codicistica nota come “aggravante del negazionismo”.