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GIUSEPPE DI BENEDETTO

Transdisciplinarità

Abstract

Occorre chiedersi se i maestri di ogni tempo che ci hanno preceduto pensavano all’architettura come ad una disciplina riconoscibile e separabile da altre. Forse sì, ma in senso diametralmente opposto al significato che noi attribuiamo agli specifici ambiti o, ancor peggio, settori scientifici disciplinari nei quali siamo costretti ad identificarci, facendo molta attenzione a non oltrepassare steccati e barriere ideologiche di separazione con altri campi disciplinari più o meno prossimi. Del resto, andando alla radice etimologica di disciplina - dal latino discipulus, discepolo, rintracciamo concatenazioni di significato assai distanti rispetto alla odierna diffusa interpretazione di disciplina. Provocatoriamente potrei affermare che ricerca transdisciplinare è una espressione pleonastica. La ricerca è l’atto dell’investigare, dell’esplorare, seguendo tracce e indizi attraverso un fare gnoseologico fondato sull’aspetto filologico dell’anagignoskein, ovvero la conoscenza del conosciuto, riferendoci all’espressione formulata da August Boeckh e adoperata, da Frithjof Rodi, come titolo per una raccolta di fondamentali studi ermeneutici. Ed anche accettando l’idea, come ci ricorda Roberto Masiero, che l’architettura possegga un suo statuto autonomo, espressione di una specifica e riconoscibile ontologia regionale, tale presunta autonomia non può essere interpretata come arrogante, orgoglioso, accademico isolamento. La ricerca non si attua mettendo in atto singoli punti di vista. Né, al contrario, può essere frutto di ingenue sommatorie di specifici sguardi disciplinari. Del resto, sappiamo bene come l’architettura, pur nella propria menzionata autonomia, intrecci rapporti preferenziali con altre discipline, relazioni che divengono talvolta fondative e permangono leggibili nell’opera architettonica come apporto extra-disciplinare.