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FERDINANDO TRAPANI

Community planning e community visioning. Visioni e scenari dal basso come “progetto tentativo” per riequilibrare spazio e società e ricostruire territori e comunità

Abstract

Già dalla seconda metà degli anni 60 del secolo scorso in Italia, alcuni urbanisti (e non solo se si pensa alla poliedrica attività di Adriano Olivetti) incoraggiavano nuove metodologie di costruzione degli spazi urbani e territoriali mediante il recepimento della domanda sociale attraverso le pratiche di partecipazione degli abitanti alle scelte di governo del territorio. Tutto ciò avveniva sulla scia dell’advocacy planning molto in voga negli states, lanciato nel decennio precedente, ma anche dalla contaminazione del “situazionismo internazionale” principalmente di derivazione francese. Così dal nord al sud del nostro Paese, dalla scala urbana a quella territoriale, alcuni pionieri del riformismo progettuale come Giancarlo De Carlo, con la progettazione di “Case Matteotti” nei pressi di Milano e Danilo Dolci (sociologo che operò con la collaborazione e il supporto della scuola urbanistica siciliana) nella Sicilia occidentale, avviavano la sperimentazione di quella che veniva definita “progettazione partecipata”, attraverso l’importante fase di ascolto degli abitanti. Lo scopo della sperimentazione era quello di coinvolgere i cittadini nel disegno degli spazi urbani e di reale assetto urbanistico nei territori da loro abitati, mediante l’esposizione delle domande sociali che provenivano dal basso in direzione di una loro soddisfazione. Nel lungo percorso della disciplina urbanistica, la sperimentazione di questa pratica si è intensificata notevolmente, dando l’avvio al consolidamento della “coscienza partecipativa e democratica” dei cittadini nelle scelte di governo del territorio