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PATRIZIA SARDINA

Dal profano al sacro: oreficerie e abiti nella Sicilia tardo-medievale

Abstract

Nell’Europa tardo medioevale le leggi suntuarie disciplinarono l’uso di abiti e gioielli e i frati predicatori portarono avanti campagne moralizzatrici contro il lusso, con discorsi nelle piazze e roghi delle vanità. In Sicilia gioielli e abiti lussuosi divennero una forma d’investimento, servivano per costituire le doti, si trasmettevano in eredità e potevano essere impegnati. Modificare gli oggetti profani, simbolo di peccato, in paramenti e arredi sacri fu considerata un’opera meritoria, fondamentale per la salvezza dell’anima. Beni temporali, acquistati a volte con un arricchimento illecito, subivano una metamorfosi che consentiva di conciliare aeterna e temporalia. Nel Trecento nobildonne e mogli di mercanti, conti e notai fondavano cappelle e donavano abiti e stoffe preziose per fare casule; cinture, bottoni, orecchini e tazze d’argento per realizzare calici, patene e croci; perle e smalti da applicare ai paliotti d’altare. Gli indumenti sacerdotali potevano essere confezionati da nobildonne, come Grazia de Ebdemonia, che fu incaricata dalla cugina Palma Mastrangelo di trasformare in paramenti sacri tutti i suoi veli e panni di seta.