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LICIA SIRACUSA

Environmental Protection as a Trojan Horse of Criminal Law in the European First Pillar? A new Statement of the ECJ

  • Autori: SIRACUSA L
  • Anno di pubblicazione: 2008
  • Tipologia: Capitolo o Saggio (Capitolo o saggio)
  • Parole Chiave: Criminal Law in the European First Pillar; ECJ; Environmental Protection.
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/40204

Abstract

Dopo la storica sentenza del 13 settembre 2005, la Corte di Giustizia è intervenuta nuovamente a definire il riparto delle competenze tra Unione e Comunità in materia di diritto penale, annullando anche la decisione quadro sul rafforzamento della cornice penale per la repressione dell’inquinamento provocato da navi (caso C-440/05, Commissione c. Consiglio). Due erano le questioni fondamentali che attendevano una risposta da parte della Corte di Giustizia: 1) l’ammissibilità di direttive a contenuto penale per settori ulteriori rispetto a quello specifico della tutela dell’ambiente; 2) la definizione delle competenze della Comunità nella scelta del contenuto delle norme penali. Sul secondo punto, la soluzione fornita dalla sentenza è chiara: le direttive non possono stabilire la tipologia e la misura delle sanzioni penali, ma possono soltanto descrivere gli elementi costitutivi degli illeciti e conseguentemente obbligare gli Stati ad adottare sanzioni penali proporzionate, efficaci e dissuasive. Sulla prima questione, invece, la soluzione della Corte può essere letta da due diversi punti di vista: il punto di vista della piena legittimazione di una competenza penale della Comunità per tutte le materie comunitarie; ed il punto di vista opposto di un restringimento di questa legittimazione soltanto alle materie strettamente collegate alla tutela dell’ambiente. Sul secondo punto invece, la posizione dei giudici del Lussemburgo sembra aprire il varco ad una potenziale illimitata estensione delle materie oggetto della potestà normativa penale della Comunità. La facoltà per l’Europa di emanare direttive a contenuto penale viene infatti ammessa, ogniqualvolta gli scopi presi di mira dall’azione normativa comunitaria siano trasversalmente riconducibili ad uno degli obiettivi essenziali della Comunità (criterio della trasversalità); e a condizione che il ricorso allo strumento penale appaia indispensabile per dare piena attuazione alla politica europea di volta in volta interessate (criterio dell’indispensabilità). Nessuno dei due criteri indicati nella sentenza è realmente in grado di operare come efficace parametro di selezione dell’area di intervento penale del legislatore europeo e come argine all’eccessiva proliferazione di norme penali di matrice europea. Il criterio della trasversalità appare ambiguo e poco stabile e può dar luogo a spinte niente affatto contenitive della potestà penale comunitaria, tenuto conto che un collegamento “trasversale” tra gli obiettivi delle politiche comunitarie per così dire “secondarie” e gli obiettivi delle politiche “essenziali o primarie” è sempre rintracciabile Il criterio dell’indispensabilità invece può risultare inefficace sul piano applicativo, a causa della vaghezza del suo contenuto. Non vi è dubbio infatti che la concreta portata di tale parametro resta affidata a valutazioni discrezionali di carattere politico, e non di carattere logico/formale. Ciò certamente è dovuto alla circostanza che un’armonizzazione penale europea effettuata alla luce delle istanze “funzionalistiche” della pena inevitabilmente implica giudizi ed opzioni di politica/criminale i quali per loro stessa natura difficilmente possono fungere da parametri formali, idonei a regolare il riparto di competenze a livello europeo ed a guidare nella selezione dei beni giuridici da tutelare tramite lo strumento penale.