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FILIPPO SCHILLECI

Le insidie dell'orto urbano. Processi partecipativi e derive neoliberiste a Palermo

Abstract

L'intervento descrive un'esperienza in corso che rientra nel quadro della geografia sociale e auspica di ottenere risultati operativi, ma che pone questioni di fondo tanto teoriche quanto pragmatiche. Nel 2015 il Comune di Palermo inaugura il “Laboratorio Palermo città educativa”, con l’obiettivo di sviluppare politiche per l’infanzia e l’adolescenza mirate, tra l’altro, alla riscoperta del legame identitario con il territorio (o, in altri termini, a favorire un senso di radicamento). In questo processo di governance che comprende non solo enti pubblici e istituzioni, ma anche esponenti del terzo settore e altri attori non tradizionali, il tavolo tematico “Spazi per vivere”, a cui gli autori di questa presentazione prendono parte, lancia l’ipotesi di individuare alcune aree verdi di proprietà comunale e in stato di abbandono o di degrado per riappropriarsene in nome delle comunità di quartiere, mirando a trasformarle in orti o giardini urbani nei quali organizzare attività educative rivolte a tutte le età. Il processo, pur se mirato a ottenere risultati concreti, non è scevro di contraddizioni, talora anche pericolose. In un contesto di austerity urbanism (Peck, 2012), infatti, è facile per il Comune giocare sull’assenza di investimenti pubblici per stimolare i cittadini più attivi a diventare protagonisti dei processi di cambiamento delle città. Inoltre, l’idea di realizzare urban community gardens (Ghose e Pettygrove, 2014), in questo momento storico, è universalmente apprezzata e tende a diventare modello virtuoso di sviluppo urbano, come è stato per altri slogan in anni recenti (smart cities, creative cities e così via). Infine, la mancanza di un regolamento efficace sull'uso degli spazi verdi pubblici in città ha creato e continua a creare impedimenti alle soluzioni proposte dal tavolo tematico. Rimane in ogni caso da indagare, e un’indagine qualitativa sul campo può servire in tal senso, se tra le pieghe di questi processi di riappropriazione identitaria non si celino forme neoliberiste che delegano un falso potere decisionale ai cittadini, sfruttandoli piuttosto per colmare i vuoti politici attuali.