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ETTORE SESSA

Giuseppe Sommaruga e i modernisti italiani

Abstract

Giuseppe Sommaruga è incline a quel senso dell’iperbolico, sovente ottenuto anche per contrasti dimensionali e studiati “fuori scala” pur in organismi contratti, che procede dalla semplificazione dei formulari storicisti fino al loro disinvolto accorpamento e all’omologazione figurale, con alquanti contrappunti ed eterodosse soluzioni di continuità, verso una visione monumentale persuasiva ma esente da enfasi didascaliche e, nel divenire, sempre più ruvida e arcaicizzante. Anzi l’iperbolico è, in fin dei conti, il “filo rosso” dei suoi modi architettonici fin dalla prima stagione eclettica, dal progetto per il Concorso del Parlamento del Regno d’Italia a quello per l’Ossario di Palestro, dai progetti per i concorsi dei palazzi istituzionali a Buenos Aires e a Montevideo a quelli per i cimiteri di Bergamo e di Mantova, dallo Chalet Theobroma all’Esposizione Nazionale d’Igiene di Milano del 1891 al complesso per le Esposizioni Riunite di Milano del 1894. Sempre l’iperbolico, che per soli contrasti affiora persino nella sua produzione professionale più convenzionale (in particolare quella compresa fra il 1895, a seguito del successo per il complesso delle Esposizioni Riunite, e il 1901 anno della svolta di Palazzo Castiglioni) , ne avrebbe, poi, sostanziato l’operare modernista, distinguendolo nel panorama italiano e proiettandone la poetica ben oltre la prevedibile influenza su altri progettisti del periodo Liberty (che anzi ne recepiscono in maniera squisitamente esornativa il messaggio, a differenza di personalità come Arata o, verosimilmente, come Sant’Elia). L’iperbolico compare come componente subliminale nel Palazzo Castiglioni (materico “non finito” e contaminazioni figurali nei prospetti e nelle finiture, anche polimateriche, e manipolazione della citazione garnieriana per lo scalone-fuclro); compare ancora quale additivo di contrasto nella strumentazione formale nel Palazzo Viviani-Giberti a Trieste del 1906-1907 o per caratterizzazione di contrappunto nelle milanesi redesidenze Comi del 1906, Salmoiraghi del 1906, Galimberti del 1908, Faccanoni (poi Romeo) del 1912-1914 e nelle ville Galimberti a Stresa del 1906 e Carosio a Baveno del 1908-1909. È con le opere per i Faccanoni a Sarnico (dal 1907 al 1912) che Sommaruga, oltre a sublimare quella mitologia peculiare delle società più evolute del modernismo europeo consistente nel binomio fra ethos del progettista animato da slanci liberatori e proiezione della committenza verso modi e segni di un ideale meliorista di progresso sentito come missione totalizzante (formula che in Italia ha pochi altri casi simili e fra questi il precedente dei Florio con Basile in una Palermo ancora, fino al 1910, rilevante quale polo economico e città con una società egemone cosmopolita), riformula i modi della sua progettazione fino ad allora solamente supportati dalla vocazione iperbolica; essa ora non è più uno strumento gregario del fare architettonico, non interviene più come qualificante correttivo, ma assume il ruolo di valenza della stessa logica progettuale contribuendo, anche dall’inibito contesto italiano, al superamento di quel “falso problema” della ricerca di nuovi codici architettonici che era stato l’innesco e, al tempo stesso, il limite della volontà di generale “riorganizzazione del visibile” propria dell’Art Nouveau.