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ETTORE SESSA

Villino Basile a Palermo. La casa-studio come opera manifesto per una variabile latna della nuova cultura dell'abitare modernista

Abstract

Ricordata, ancora all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo, da Giuseppe Spatrisano come “architettura dalla modernità esemplare” che negli anni Venti si imponeva ancora per la sua semplice raffinatezza, in una scena urbana oramai affetta da una variegata patologia tradizionalista, la casa-studio palermitana di Ernesto Basile non poteva però assumere in toto il ruolo di modello declinabile per l’architettura modernista siciliana. Detta anche “villino Ida” in omaggio alla consorte, la casa di Ernesto Basile, ad onta della volumetria discreta e della calligrafica strumentazione formale dal nitido tenore astilo, si distingueva rispetto alla pur elegante compagine edilizia circostante, costruita negli isolati ai lati del viale della Libertà. Scevre da richiami storicisti, le facciate sono intonacate di bianco e ritmate, al secondo livello, da paraste e falsi-partiti alternati a porzioni murarie cieche rastremate e individuate superiormente da piastrelle policrome disposte a mo’ di fregio, mentre circoscritti inserti fitomorfi (in stucco o scolpiti), allusivi della metafora vitalistica del costruire, compaiono solamente nei terminali delle membrature architettoniche. Infine, un alto zoccolo in mattoni rossi, compreso tra una fascia di ortostati di diversa altezza e una cornice (alla quota dei davanzali delle aperture del piano rialzato), con cantonali e pile di bugne rustiche ammorsate, era esteso anche all’area (oggi edificata) con il giardino cingendo così l’intera proprietà. È questa continuità tra la recinzione del ‘giardino segreto’ e il basamento della fabbrica, idealmente prolungata sul resto del lotto tramite gli annessi corpi bassi, unitamente all’assenza nelle due facciate di palesi gerarchie compositive a suggerire l’idea di una costruzione a prevalente sviluppo perimetrale, i cui bianchi prospetti sono incernierati dal balcone d’angolo, con parapetto, piantale e fastigio a corona in ferro battuto. Il dissolversi nei suoi prospetti di ogni residua remora della tradizione non aveva comportato la rinuncia alla tanto invocata identità culturale latina; anzi gli strumenti per perpetuare l’aspirazione ad una armonia matematica erano assurti a mezzi espressivi di un ideale classico senza tempo e senza segni.