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ANDREA SCIASCIA

“La cosa”, tra l’architettura e il packaging

Abstract

In questi ultimi decenni le linee di confine fra settori scientifico disciplinari contigui sono diventate, in molti casi, delle trincee invalicabili. Tale pratica ha formato ambiti sempre più specialistici, generando, in alcuni casi, docenti ritenuti indispensabili per raggiungere determinati esiti nella didattica, nella ricerca e nell’attività professionale. Design, architettura e urbanistica sono divenuti compartimenti stagni, subendo un processo involutivo di allontanamento e contraddicendo l’esperienza di molti protagonisti del Movimento Moderno. Partendo da questo stato di fatto, è stato interessante osservare, con lo stesso modus operandi di chi abitualmente si occupa di progettazione architettonica, gli esiti di alcuni laboratori di disegno industriale. Da tale esperienza è possibile sostenere una tesi diametralmente opposta rispetto a quella che tende ad accentuare le distinzioni fra settori disciplinari. In particolar modo i progetti e le realizzazioni degli allievi di Anna Catania, interamente rivolti ai temi del packaging, rendono ancora più concreta quella tesi volta a dimostrare come siano simili alcune peculiarità del processo del progetto in alcuni campi del disegno industriale e della progettazione architettonica. La possibilità di tale continuità dell’azione del progetto sembra essere tramontata in una notte e il buio conseguente si è dilatato a dismisura. L’oscurità ha prevalso a tal punto dal volere negare, anche nella formazione universitaria, l’importanza di un’attività di progettazione interscalare che superi, magari in un esercizio di sintesi, le barriere fatue dei settori scientifico disciplinari. All’opposto, gli esiti del laboratorio di Anna Catania offrono una condizione diversa mostrandosi come una tappa importante nella formazione dell’architetto impegnato, senza soluzioni di continuità, dal paesaggio all’architettura, dal progetto urbano al design.