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ALESSANDRA SCIURBA

Oltre l’irrilevanza del consenso e la colpa individuale. Posizioni di vulnerabilità e responsabilità sistemiche nello sfruttamento e nella tratta delle donne migranti

Abstract

Il concetto ontologico di dignità umana, kantianamente inteso, sembra sostanziare le disposizioni normative nazionali e internazionali che delimitano la libertà contrattuale. Eppure, il bilanciamento dei principi di dignità e libertà contrattuale è un’operazione molto più problematica di quanto possa di primo acchito sembrare perché anche la libertà contrattuale è un principio di difficile definizione, che in un mercato del lavoro liberale tende a tramutarsi nello strumento attraverso il quale è sancito il potere delle parti più forti, mentre quelle più deboli sono piuttosto forzate ad “acconsentire” alle condizioni imposte all’interno di una negoziazione asimmetrica, secondo una dinamica ben definita dal broccardo coactus voluit, citato da Max Weber. Da una prospettiva di genere, è stata invece soprattutto Carol Pateman a evidenziare la tensione implicita tra libertà e coercizione come elemento caratteristico di ogni contratto. Una possibile misura della qualità della libertà contrattuale è quindi la qualità del “consenso” che viene prestato da tutte le parti all’interno di un contratto, formale o informale che esso sia, a partire dalla valutazione della posizione soggettiva di ciascuna di esse prese singolarmente e in relazione l’una all’altra. Si potrà in tal modo scoprire che tale consenso origina da una libertà solamente fittizia, ovvero da una mancanza di alternative. Questa valutazione preliminare è indispensabile per valutare anche le responsabilità delle conseguenze, ad esempio in termini di violazioni dei diritti, che discendono da un contratto cui tutte le parti sembrano formalmente o informalmente avere prestato il loro “consenso”, come accade in molti casi di sfruttamento, o anche di grave sfruttamento lavorativo o di tratta. A partire da queste premesse, il presente contributo mostra come tutti questi concetti acquistino particolare concretezza se rivolti come lenti attraverso le quali osservare criticamente alcune forme di tratta e sfruttamento lavorativo delle contemporaneità, in particolar modo quando questi fenomeni riguardano persone che sommano in sé precise forme di vulnerabilità derivata dall’intersezione di status fragili, o meglio fragilizzati, come quelli di migrante e di donna. A questo fine, viene preso in considerazione il caso specifico dello sfruttamento lavorativo delle donne migranti all’interno del mercato del lavoro italiano, guardando in particolare ai fattori che producono la “posizione di vulnerabilità” delle lavoratrici migranti provenienti dall’Est Europa e inserite nel settore del lavoro domestico e agricolo.