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GIOVANNA PETRONE

L'ampolla tragica (Hor. ars 97). Stili di voce tra teatro e retorica

  • Autori: Petrone, G
  • Anno di pubblicazione: 2011
  • Tipologia: Articolo in rivista (Articolo in rivista)
  • Parole Chiave: Razio; teatro; retorica
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/54233

Abstract

Nel quadro di un interesse per l’actio e per la teatralità della retorica, si esamina il tema dell’intonazione della voce, che la teoria ciceroniana prevede ispirata a modelli teatrali, sull’esempio dei personaggi della tragedia e delle passioni che incarnano. Punto di partenza è l’osservazione degli stretti rapporti tra retorica e poetica a Roma: nel termine di voce si vengono a sovrapporre il significato letterale e quello metaforico, che lo fa sinonimo di registro stilistico. Da questo punto di vista vengono riletti i versi oraziani dedicati alla differenza tra commedia e tragedia, nei quali la voce funziona da criterio di separazione tra i generi. L’analisi individua nella posizione di Orazio una profonda coincidenza con la teoria ciceroniana. Il sottile e allusivo lessico oraziano si rivela soprattutto come il punto di arrivo di una lunga riflessione sul teatro e sul conflitto che oppone tragedia e commedia. Il rifiuto con cui la commedia, mediante la formula non vult, prende le distanze dalla maniera tragica si può fare risalire alla stessa volontà di distinzione espressa nel prologo dell’Amphitruo plautino, così come lo ‘sdegno’, attribuito alla tragedia come carattere essenziale, mostra dietro di sé una lunga tradizione, dove spicca in particolare l’utilizzazione del mito di Atreo. Così l’espressione proicit ampullas, a suggerire l’abbandono della magniloquenza tragica, sottintende una lunga storia: l’ampolla è infatti la sonorità tipica dell’enfasi tragica e della veemenza oratoria. Intorno alla voce s’incentra così un dibattito che trae origine e paradigmi dal teatro, dov’è la voce concreta dell’attore recitante. Vi è coinvolto appieno l’oratore, interessato per la sua performance a trarre spunto dall’arte vocale dell’attore, ma anche il poeta, che per la sua scrittura considera la voce più o meno ‘alta’ e fragorosa dei personaggi scenici come segnale del decorum artistico.