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STEFANO MONTES

In contrattempo, per stereotipi e incidenti. Antropologia di un frammento di esistenza

Abstract

È un saggio forse un po’ sperimentale, un po’ troppo deleuziano: con riferimenti dissimulati ad antropologi del presente e del passato, nonostante la forma narrativa sia pervadente. Mostra troppe linee di fuga, è vero. Ma se dovessi riscriverlo lo scriverei nello stesso modo, nel corso degli anni, usandolo proprio come ancora di riflessione e di interrogazione epistemologica. Questo saggio non è infatti il risultato di una trascrizione di qualche idea del momento trasposta immediatamente in testo. Tutto il contrario: sono tornato, nel tempo, a lavorare su questo breve saggio (iniziato a scrivere sotto forma di appunto di campo circa dieci anni fa, a Tallinn, in seguito a un fatto effettivamente accadutomi) allo scopo di affinare la riflessione antropologica e meglio cogliere i nessi posti tra pianificazione degli eventi e loro sgretolamento dovuto agli incidenti ordinari o straordinari. A una prima lettura, questo saggio potrebbe parere incentrato essenzialmente su due questioni: i. l’ordine narrativo che assume un appunto etnografico dilatato nel tempo della scrittura; ii. gli incastri possibili tra stereotipi temporali e forme del contrattempo. E in parte è così. In realtà, però, il nesso che mi ha letteralmente ossessionato – in tutti quei momenti in cui sono tornato a ricomporre l’appunto etnografico, negli anni, in luoghi diversi – riguarda soprattutto l’articolazione in divenire tra i modi della riflessione di un antropologo su un incidente (a cui è scampato per caso) e i modi di ‘prendere piega in esteso’ di un frammento di esistenza (che non vuol saperne di cristallizzarsi in testo scritto). Di che si tratta in sostanza? Diversi anni fa, a Tallinn, mentre attraverso distrattamente una strada, stavo per essere investito. Sono scampato all’incidente e mi sono chiesto, in prima persona, cosa significhi essere parte di un evento senza averne avuto l’intenzione e i tratti caratteristici minimi di agentività regolarmente appartenenti a un individuo. Così, quasi senza volerlo inizialmente, questo incidente è stato l’occasione, nel corso degli anni, per rivolgere l’attenzione alle forme di discontinuità – la coincidenza, il contrattempo, il fortuito, etc. – che si producono, volenti o nolenti, nel quotidiano. Le difficoltà con cui mi sono scontrato sono state diverse e lascio al lettore il piacere di scoprirle. Sottolineo soltanto il fatto che un incidente non è facile da definire antropologicamente perché, interrompendo il flusso degli eventi e la loro pianificazione coerente, introduce elementi di disordine e di caos a cui cerchiamo di sottrarci. Di fatto, un incidente tende a sganciarsi – a sganciarci – dal quotidiano e dai suoi automatismi correnti. Nostro malgrado. Detto questo, per le ragioni già esposte, un’antropologia dell’incidente sarebbe opportuna proprio per meglio definire la dimensione temporale della nostra esistenza e i rapporti posti tra i flussi di continuità e di discontinuità, tra pianificazioni di vita e elementi di casualità.