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STEFANO MONTES

In sordina a Auschwitz. Tra sensibilità e razionalità, ordinario e straordinario

Abstract

Sono tornato da Auschwitz e una strana sensazione mi è rimasta incollata addosso, sulla coscienza e sulla pelle, sui panni puliti e sul respiro pesante che riverso sul mondo indaffarato nel solito trantran di sempre. Routine? Ordinario e straordinario si richiamano e s’intrecciano: da qualche giorno, Auschwitz non è però più per me una parola, per quanto terribile, ma un riferimento concreto, materiale, ancorato a un mio pezzo di vissuto di ‘pellegrino’ attento a ciò che succede intorno al suo presente. Sono a casa mia e ripenso alle baracche dei sopravvissuti nei campi di concentramento: vivo una realtà ordinaria e ripenso a una straordinaria, quasi inconcepibile e inimmaginabile. Rifletto e narro, vivo nel mio quotidiano e sono consapevole di fatti straordinari e tragici, vissuti da altri nel passato e nel presente. Rifletto e resisto a un’idea monolitica di razionalità, comparo a questo fine luoghi e atmosfere dell’ordinario e dello straordinario. Il genocidio ha una qualche base su forme congiunte di razionalità? Per quanto strano possa sembrare, la razionalità può essere irragionevole e diventare comunque sistema complesso e interrelato al cui interno ciò che pare di primo acchito irragionevole trova il suo posto nella società, aggirando le resistenze di molti, traducendosi troppo spesso in senso comune accettato. Da antropologo del linguaggio, rifletto dunque sui concetti di razionalità e sensibilità mettendoli in relazione con altri concetti quali insensibilità e irrazionalità, male e violenza. Non soltanto risultato di moti irrazionali, esplosioni folli di atti assurdi collettivamente ripudiati, il male e la violenza sono più spesso irreggimentazioni di logiche d’insieme finalizzate a scopi precisi, sono ‘elementi’ in gioco resi coerenti all’interno di complessi di ragioni le cui connessioni mirano, come nel caso dei campi di concentramento, a particolari fini tecnici e persino tecnocratici. Il male e la violenza si costituiscono in quanto forme congiunte, confuse e sovrapposte di razionalità e irrazionalità, sovente subdolamente dissimulate, in termini segnici, da connotazioni ideologiche prodotte ad uopo per sventare resistenze e modellare persuasivamente la ricezione altrui. Il passo importante è sventarne la costruzione materiale e simbolica, rifiutarne la costituzione ideologica d’insieme nel suo stesso processo in divenire interno ed esterno alla cultura, nella sua adesione quotidiana manifestata spesso da impliciti automatismi e inconsapevoli sostegni frutto di operazioni mediatiche. Il male fa sistema? La violenza ha una sua razionalità? L’ipotesi sul continuum della violenza (Scheper Hughes) andrebbe allora vista di pari passo con quella di Goffman secondo cui le istituzioni totali, quale che esse siano, tendono a produrre meccanismi di esclusione e di violenza simbolica e materiale. In altri termini, sfumare la distinzione tra violenza ordinaria e straordinaria dovrebbe procedere di pari passo con l’indagine sulle varie istituzioni che generano internamento, persino le più innocue apparentemente, quali potrebbero essere un normale ospedale o un comune pronto soccorso. Si dovrebbe mettere pure l’accento, sempre più, sulle storie di vita individuali, di persone ordinarie, sottoposte a eventi straordinari: alle diaspore, migrazioni e internamenti in campi per profughi.