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STEFANO MONTES

Wittgenstein come etnografo del pensare

Abstract

Wittgenstein è stato giustamente considerato un grande filosofo, annoverato tra quegli studiosi del Novecento che hanno prodotto un pensiero innovativo nel campo del linguaggio. Nel mio saggio, proprio per meglio mettere in evidenza la forza agentiva del suo pensiero ‘in atto e situato’, prendo le distanze da un’impostazione disciplinare univoca, concentrandomi soprattutto sulle Ricerche Filosofiche in quanto testo risultante da un modo di ‘pensare autoriale’ non lineare, non generalizzato, non essenzialistico: un pensare, quello di Wittgenstein, messo dunque concretamente in forma attraverso strategie operative, sistemi figurativi e insiemi combinati di metafore concettuali, da mettere opportunamente in risalto analiticamente per una comprensione più antropologica, a tutto tondo, del suo lavoro. Dopo una breve introduzione, in cui metto l’accento sulle difficoltà insite nel processo di ricezione di Wittgenstein (dovuto proprio alla sua opera ‘in divenire’, quasi mai concepita come un punto fermo della sua attività di pensiero), mi concentro sul suo modo di pensare-scrivere in quanto modalità non lineare, costituiva del suo essere autore, realizzata attraverso il frammento e l’annotazione, molto vicina alla prassi etnografica. Nel produrre questo spostamento di attenzione (da un pensiero generalizzato al pensare per flussi e frammenti come strategia di scrittura del pensare), mi ispiro alla nozione di funzione-autore formulata da Foucault. Per meglio prendere in conto Wittgenstein nelle sue molteplici funzioni, insisto sulle seguenti questioni: 1. sull’autore Wittgenstein come testo e effetto di ricezione della sua produzione (non solo filosofica, ma anche artistica e antropologica); 2. sullo spostamento prodotto da Wittgenstein, in termini di aspettualizzazione, dal pensiero come ‘forma rappresentativa e risultativa’ al pensare come ‘attività in situazione e processuale’.