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LAURA FERRARO

CAPIRE E GESTIRE LA VIOLENZA NELLA SCHIZOFRENIA

  • Autori: Volavka, J.; Swanson, J.; Citrome, L.; Ferraro, L.
  • Anno di pubblicazione: 2017
  • Tipologia: Traduzione in volume (Traduzione di libro)
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/237797

Abstract

Il problema della violenza nelle persone affette da schizofrenia pone spinosi dilemmi clinici e sociali. Da una parte, il comportamento aggressivo nella schizofrenia può essere una pericolosa, anche se rara, complicanza della malattia. I medici sono tenuti ad anticipare, valutare, gestire e ridurre i rischi di violenza dei loro pazienti, con interventi e trattamenti adeguati. D’altra parte, pazienti psichiatrici capaci di decidere autonomamente, spesso riducono o sospendono il trattamento nel corso del tempo, il che è un loro diritto, e in ogni caso molte cause di violenza non possono essere trattate con i farmaci (Swanson et al., 2008a). Inoltre, concentrarsi semplicemente sul potenziale di violenza dei pazienti, può rappresentare una grossa limitazione nel passaggio verso la “normalizzazione” dei servizi di salute mentale nel territorio; ciò potrebbe addirittura rafforzare la deleteria percezione comune che gli individui affetti da patologie mentali siano pericolosi in generale, e quindi può contribuire indirettamente al rifiuto sociale ed allo stigma di cui le persone con disabilità psichiatriche continuano a fare esperienza nel territorio. I pazienti affetti da schizofrenia non sono, per la maggior parte, violenti. Tuttavia, la malattia conferisce un elevato rischio di violenza in confronto alla popolazione generale. Il rischio è ulteriormente aumentato da concomitanti disturbi da uso di sostanze e dalla non-aderenza al trattamento. La violenza nella schizofrenia è eziologicamente eterogenea. Le evidenze empiriche supportano almeno due sottotipi alternativi di violenza nella schizofrenia: uno in pazienti con storia di comportamenti antisociali nell’infanzia e un altro in pazienti senza questo fattore di rischio. I sintomi psicotici positivi sono legati alla violenza nel secondo sottotipo, ma non nel primo. Questa eterogeneità ha implicazioni in termini di gestione clinica. La violenza nei pazienti schizofrenici con storia di problemi della condotta nell’infanzia è probabilmente meno responsiva al trattamento farmacologico, e gli approcci non farmacologici aggiuntivi sono particolarmente appropriati nei pazienti in cui la violenza persistente non ha risposto ai soli farmaci. Esistono programmi cognitivo comportamentali promettenti. Una gestione efficace deve comprendere la capacità di avere a che fare con i disturbi da uso di sostanze in comorbilità e ogni sforzo deve essere concentrato nel mantenere l’aderenza al trattamento. Il trattamento farmacologico dell’agitazione acuta e dell’aggressività si basa su forme iniettabili di farmaci antipsicotici atipici (ziprasidone, olanzapina e aripiprazolo). Anche il lorazepam è ampiamente utilizzato, a volte in combinazione con l’aloperidolo. La clozapina è il farmaco di prima linea per il trattamento farmacologico a lungo termine del comportamento violento persistente nella schizofrenia. Altri antipsicotici hanno anche degli effetti anti-aggressivi, ma questi sono meno consistenti. Sono stati sperimentati gli anticonvulsivanti, il litio, i beta-bloccanti e gli SSRI, ma le prove per la loro efficacia anti-aggressiva sono limitate.