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GIUSEPPE DI BENEDETTO

TRANSIZIONE DIGITALE E CONTINUITA' ANALOGICA

Abstract

L'intervista è incentrata su quindici domande relative alle dinamiche del processo ideativo della progettazione architettonica in rapporto alla pratica del disegno manuale o digitale. In particolare si pone l'accento su un concetto di architettura segnato da una distanza siderale rispetto a coloro che vivono della infatuazione per il mondo dei software del disegno digitale e cercano di riprodurre nei propri edifici (in questo caso è difficile applicare il sostantivo qualificativo architettura) qualcosa che evochi le mutazioni di immagini che si formano sullo schermo di un computer. Distanza avvertibile anche rispetto ai nuovi profeti del BIM e a tutti quei innovativi metodi digitali atti alla generazione di forme e involucri di nuovo tipo per l’ambito architettonico (dei nostri tempi) e dove le forme generate sono il risultato, non dell’immaginazione dell’uomo, ma di sistemi elettronici che determinano la configurazione conclusiva. L’uso diffuso di diversi strumenti elettronici e informatici di supporto all’esercizio del mestiere dell’architetto cui nessuno può o intende sottrarsi non deve farci dimenticare come i relativi processi produttivi dovrebbero rimanere strutturalmente artigianali, almeno come atteggiamento ideologico e come punto di vista. In ogni caso il riferimento alla “manualità” introduce la riflessione sul rapporto tra i meccanismi propri del processo creativo e la estrinsecazione dello stesso in una espressione produttiva e compiuta. L’attività creativa per quanto possa essere razionalizzata, ossia resa “logica” (benché credo rimanga, almeno inizialmente, un processo poetico, ossia “analogico”), non nasce dal semplice mettere assieme dei dati ed elementi codificati, e pertanto non può essere affidata interamente alle regole di un sistema computerizzato. Almeno non subito.