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GIUSEPPE DI BENEDETTO

La Terra Vacua tra destino, rinuncia e stato d’animo

Abstract

La vasta area di quello che abitualmente chiamiamo, e certamente non appropriatamente, piazza Magione o piano della Magione, la Terra Vacua, ovvero il grande vuoto nel cuore della Kalsa, come più poeticamente è stato definito da Carmelo Lo Curto, con le sue molteplici contraddizioni, per essere il risultato di travagliate vicende tragiche e luttuose, obliteratrici di una condizione diametralmente opposta a quella percepibile sinesteticamente oggi o nel recente passato, può considerarsi più che mai una vera e propria sineddoche e figura metonimica della città. Cioè la parte rappresentativa del tutto. La parte che incarna in sé, nella sua odierna scena di condizione talvolta caratterizzata da un senso di desolazione, l’anima attuale stessa di Palermo, il suo ormai tragico e stentato respiro fisiologico - come lo definirebbe Alberto Savinio1, ascoltando il cuore poco palpitante della Panormus che fu - seppure potenzialmente gravido di possibili inneschi di processi palingenetici, di risorgenze, di rinascite dopo l’avvenuta morte, a condizione, però, che si attui un reale e consapevole processo di recupero della memoria. Di una memoria ricca e profonda, millenaria come la storia stessa della città.