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GIUSEPPE DI BENEDETTO

Gabetti e il tempo del cantiere

Abstract

Il titolo dell’intervento trae spunto da un articolo scritto dallo stes- so Roberto Gabetti e da Aimaro Isola per la rivista «Hinterland» del marzo 19831. Un numero monografico dedicato a quella generazione di architetti del 1925 tra i più rappresentativi del panorama internazionale di allora. Per Gabetti e Isola quel testo costituiva sostanzialmente l’occasione per parlare dell’esperienza della realizzazione del progetto di case e negozi in via Sant’Agostino a Torino e, attraverso questo, dell’idea e del ruolo, nonché del significato, della parola cantiere. Cantiere e rovina, infatti, pur appartenendo alle estremità esistenziali opposte e antitetiche dell’architettura, l’inizio e la ne, la genesi e la consunzione, il prologo e l’epilogo, hanno un paradossa- le punto di contatto e di coincidenza. Si tratta di quella particolare condizione in cui l’immagine di ciò che non è ancora compiuto e l’immagine del già compiuto in disfacimento fanno sentire allo stesso modo il mirabilia della storia e della natura del lavoro. Nell’idea di architettura di Roberto Gabetti e Aimaro Isola, il cantiere e la rovina, nella loro ineludibile ciclicità temporale, alla fine potrebbero anche coincidere, assecondando l’illuminante paradosso di Auguste Perret che vedeva nella finalità ultima del lavoro di ogni architetto il “progettare belle rovine”. Ossia, nel ritrovare in tale contrastante proposizione la misura estrema sia dell’intrinseca qualità della loro architettura sia della distanza rispetto a una massiva produzione architettonica corrente le cui “macerie” non avranno mai il tempo, neanche quello del cantiere, per essere e divenire magnifiche "ruine".