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FABRIZIO D'AVENIA

La aplicación de las reformas tridentinas en Sicilia: las fronteras jurisdiccionales

Abstract

Tema dell'articolo è il problema dell’applicazione delle riforme tridentine sulla chiesa siciliana in relazione al peculiare assetto giurisdizionale del Regno, gravitante sul privilegio della Legazia Apostolica e sul foro che ne tutelava l’osservanza, il Tribunale della Regia Monarchia. Riorganizzato nel suo funzionamento e struttura tra il 1579 e il 1583, esso godeva di una giurisdizione superiore agli stessi canoni tridentini e, come ultima istanza di giudizio per gli ecclesiastici dell’isola, poteva ribaltare le sentenze o annullare i provvedimenti emanati dai tribunali episcopali nei confronti di chierici e religiosi “indisciplinati” o colpevoli dei più vari reati. Le testimonianze coeve in tal senso, alcune delle quali saranno prese in esame, erano frequenti, ma non sempre univoche. La difesa di queste vaste prerogative da parte del Regno di Sicilia (e della Monarchia spagnola) fu sempre molto decisa nei confronti della Santa Sede, che da parte sua giudicava la Regia Monarchia un fenomeno tendenzialmente scismatico e altrettanto pericoloso per il primato romano quanto il gallicanesimo. Vi è tuttavia un aspetto fondamentale di questa controversia giurisdizionale tra vescovi e corte romana da una parte e Tribunale della Regia Monarchia e corona spagnola, dall’altra, che spesso non viene considerato e che si cercherà di illustrare attraverso la documentazione della Congregazione romana dell’Immunità (Archivio Segreto Vaticano) in merito a una vicenda accaduta nell’ambito dell’arcidiocesi di Messina negli anni ’20 del ’600. All’origine dei contrasti, infatti, c’erano spesso conflitti di natura locale nei quali le parti “usavano” le giurisdizioni ecclesiastiche concorrenti e le piegavano ai loro interessi. D’altro canto le giurisdizioni ecclesiastiche si “servivano” di questi conflitti per affermare il loro primato. Si tratta di un aspetto che recentemente è stato sottolineato anche per altri stati italiani (Genova, Toscana, Napoli), nei quali, tra l’altro, il ruolo svolto dai tribunali dei metropoliti e dai nunzi papali è in qualche modo assimilabile a quello del giudice della Regia Monarchia in Sicilia. Questo consapevole «uso della giustizia» si mescolava a sua volta ai tentativi dei vescovi di applicare le riforme tridentine, soprattutto nell’ambito della disciplina ecclesiastica, condizionandone l’esito nella direzione o del disciplinamento o dell’impunità. Né va dimenticato che in Sicilia alle giurisdizioni ecclesiastiche della Regia Monarchia e dei vescovi, si aggiungevano e sovrapponevano quelle dell’Inquisizione spagnola e del Tribunale della Santa Crociata (controllato dall’arcivescovo di Palermo), con i loro fori privilegiati riservati ai rispettivi familiares e a determinate tipologie di imputati. L’ostacolo all’attuazione dei decreti tridentini in Sicilia è probabilmente allora da imputarsi alla molteplicità di tali giurisdizioni ecclesiastiche sovrapposte e concorrenti. Per il “cattivo” chierico non era difficile muoversi tra le “frontiere” di queste giurisdizioni, mettendole in competizione tra loro. Più numerose esse erano, più le speranze di “farla franca” aumentavano: tante giustizie, nessuna giustizia!