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ELISABETTA DI STEFANO

Leon Battista Alberti e l’estetica della contemplazione

Abstract

Dall’excursus dei testi albertiani - dal De iciarchia agli Apologi, dalle Intercenali agli elogi del Canis e della Musca, ai Libri della Famiglia, al Momo - emerge una concezione etica e poietica incentrata sulla praxis. Sorprende, pertanto, leggere nei Libri della Famiglia che l’attività peculiare dell’uomo, quella che lo contraddistingue dagli animali proni al suolo, è la “contemplazione”: citando il filosofo Anassagora, Lionardo ricorda che l’uomo fu creato da Dio per essere «contemplatore del cielo, delle stelle, e del sole, e di tutte quelle sue meravigliose opere divine». Eppure, come si evince dai testi di Alberti, questa “contemplazione filosofica” è estranea ai suoi interessi radicati nella realtà e nella concretezza. Come interpretare quindi l’affermazione di Lionardo nei Libri della Famiglia, come conciliare un ideale di vita e di cultura incentrato sulla praxis e sulla poiesis con una prospettiva esistenziale volta alla pura teoresi? Si tratta, in realtà, di una contraddizione apparente, che può essere sciolta interpretando quella contemplazione che distingue l’uomo dagli animali non secondo una prospettiva teoretica, ma estetica. L’uomo, infatti, è l’unico essere vivente in grado di sollevare in alto il viso e soffermarsi ad ammirare le opere della natura, senza altro scopo che la percezione del bello. Nel passaggio dalla sfera etica a quella estetica quell’inerzia, più volte condannata e considerata negativamente, cambia di segno. Pertanto se nel De iciarchia viene condannata la “lentezza” dell’animo “desidioso”, sul piano estetico questa stasi, in cui l’azione cede il passo al godimento della bellezza, si carica di connotazioni positive e diviene l’elemento connotativo di quell’esperienza contemplativa che costituisce il fine dell’esistenza umana e la possibilità di rendersi simili a Dio.