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ALESSANDRA DINO

Quale normalità?

Abstract

Al centro della scena è il vissuto quotidiano dei cosiddetti “figli di mafia”, figli di boss con diversi percorsi di vita, ragazzi presi in carico all’interno del progetto “Liberi di scegliere” con storie travagliate alle spalle. chiamati a offrire il proprio punto di vista sulla propria vicenda esistenziale e familiare. È un vissuto connotato da una profonda solitudine e dalla sensazione di trovarsi sempre “fuori posto”; identità multiple che oscillano tra la rivendicazione della propria diversità e il fermo proposito di non rinnegare le proprie origini. Sullo sfondo il richiamo a un peccato originale, una condanna kafkiana da cui non si riesce a sfuggire, anche quando non si è commesso alcun crimine, anzi soprattutto quando non lo si è mai commesso. Testimonianze dense, che mentre consentono al lettore di osservare dall’interno un quotidiano fitto di contraddizioni e ostacoli offrono un ottimo materiale all’analisi scientifica in un campo in cui scarseggiano le voci dal di dentro. Ci si muove, su un terreno a dir poco accidentato, entro un ambito sfumato e sfuggente, nel quale ogni forma di generalizzazione – per quanto possa apparire utile ai fini operativi – va passata al vaglio dell’esperienza concreta, evitando di farle assumere apoditticamente le vesti di una nuova teoria o – peggio ancora – che venga utilizzata come un modello predittivo di comportamento. Quali che siano le declinazioni dentro cui si esplica, scomoda appare la posizione dei “figli dei boss”. Stretti fra plurime appartenenze è per loro difficile ritagliarsi un percorso di “autonomia” dalle attese della propria famiglia di origine ma anche dalle aspettative provenienti dalla società. Ed ecco emergere la sensazione di essere sempre “fuori posto”, di scontrarsi contro un muro di gomma quando si tenta “semplicemente” di dar espressione ai propri desideri e al proprio vissuto.