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ALESSANDRA DINO

Tra ambiguità e malinteso: schermaglie di una «battaglia per l’identità» in una conversazione tra mafiosi

Abstract

Gli scambi comunicativi tra membri di Cosa Nostra sono regolati dalla duplice restrizione della legge del silenzio verso il mondo esterno e dall'obbligo di dire la verità all'interno del sodalizio. A tal fine, il linguaggio mafioso ricorre all’obliquità semantica che fornisce ai parlanti un ampio margine di libertà consentendo loro di non esplicitare le proprie reali intenzioni. È questa la ragione per la quale Tommaso Buscetta ha definito Cosa Nostra come "il regno dei discorsi incompleti". L'ordine del discorso mafioso si basa spesso sulla pratica di quello che Jankélévitch ha definito il "malinteso doppiamente beninteso” uno scambio che si fonda non tanto su una falsa relazione quanto su una falsa situazione, mantenendo tra i parlanti la consapevolezza dell'inganno e permettendo così un infinito gioco dialettico. Questo gioco, e il suo lato tacito (che coinvolge gli affari politici e criminali), sono esplorati nel saggio a partire da un confronto giudiziario tra Gaspare Spatuzza, un ex uomo d'onore (divenuto poi collaboratore di giustizia) e Filippo Graviano, che, con suo fratello Giuseppe, era il capomandamento della "famiglia" di Brancaccio cui Spatuzza apparteneva.