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ALESSANDRA DINO

La Chiesa di fronte alle mafie tra devozione e secolarizzazione

Abstract

Per la prima volta sulla piana di Sibari, il 21 giugno scorso, Papa Francesco – senza accennare agli scivolosi distinguo tra scomuniche latae sententiae e ferendae sententiae – ha dichiarato che i mafiosi “sono scomunicati”. Nel corso degli anni più volte la Chiesa aveva affrontato il tema della scomunica dei mafiosi senza mai pervenire a una tale cristallina chiarezza. Lo aveva fatto nel 1944, nel 1952 e nel 1982 esprimendo attraverso l’episcopato siculo l’estensione generica ai mafiosi della scomunica che colpisce “tutte le manifestazioni di violenza criminale”. Era tornata sul tema nel 1994 per ribadire “l’insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo” di “tutti coloro che, in qualsiasi modo, deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa”. Aveva ancora accennato a tale insanabile opposizione in successivi documenti ufficiali del 1996, del 2010 e del 2012. Questa volta, però, è diverso. In primo luogo perché la parola “scomunica” appare in maniera chiara. In secondo luogo perché alla scomunica nei confronti dei mafiosi il Papa affianca la dura critica contro “gli idoli del denaro, della vanità dell’orgoglio, del potere, della violenza”.