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ALESSANDRA DINO

La “giusta distanza”: questioni metodologiche e regole dell’interazione nel récit de vie di un collaboratore di giustizia

Abstract

Il saggio affronta alcune questioni metodologiche relative all’uso del racconto biografico dei collaboratori di giustizia. Partendo da diverse testimonianze raccolte tra uomini e donne appartenenti al mondo di Cosa Nostra, nel corso di un ampio arco temporale, il lavoro si sofferma su una lunga intervista con Gaspare Spatuzza realizzata in 9 incontri svoltisi, tra l’ottobre del 2012 e l’ottobre del 2013, in un carcere in località protetta. I diversi piani analitici in gioco, legati alla personalità del soggetto e alla peculiarità della sua narrazione, hanno reso il testo di analisi fluido e incandescente. L’incrociarsi della storia di Spatuzza con la mia biografia ha richiesto uno sforzo ulteriore per mantenere insieme “una giusta distanza” e una vigile capacità di ascolto, non trascurando le questioni deontologiche legate al ruolo dell’interprete, consapevole degli effetti del coinvolgimento emotivo che accompagna il racconto delle biografie di personaggi in vista del mondo criminale. Il racconto di vita di Spatuzza incrocia snodi e episodi cruciali della recente storia del nostro Paese. Nato nelle periferie palermitane, entra giovanissimo nel mondo di Cosa Nostra ricoprendovi varie mansioni, fino a divenire reggente del mandamento di Brancaccio. È testimone diretto di tutti gli episodi stragisti consumati tra il 1992 e il 1994 oltre che protagonista nel rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo e nell’omicidio di don Pino Puglisi. Legato da un perdurante e “fraterno” affetto a Giuseppe e Filippo Graviano, con la sua collaborazione mette in discussione l’impianto processuale di tre procedimenti, svelando clamorosi “errori giudiziari” e verosimili azioni di “depistaggio” e azzerando, di fatto, 13 anni di lavoro di magistrati e inquirenti. Le sue dichiarazioni sul mondo della politica chiamano in causa Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. La sua conversione religiosa diviene la cornice privilegiata per “raccontare” la sua “nuova” storia. Da qui l’esigenza di lavorare su più livelli: quello dell’analisi e della “verifica” dei contenuti e quello della relazione tra intervistatore e intervistato, curando anche una puntuale collocazione della sua storia dentro l’ambiguo contesto in cui si origina, dal momento che molte delle questioni affrontate nel racconto sono ancora oggetto di approfondimento giudiziario e al centro d’indagini su importanti esponenti delle istituzioni e “presenze esterne” al contesto mafioso.