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ALESSANDRA DINO

"Il traditore”: la parabola esistenziale di Tommaso Buscetta tra visioni oniriche e ricostruzioni processuali

Abstract

Attraverso una narrazione drammatizzata, costruita per essere esibita più che raccontata, la pellicola di Marco Bellocchio consegna agli spettatori la storia di Tommaso Buscetta: il più noto (non il primo) collaboratore di giustizia di Cosa Nostra, personaggio di rilievo (più per carisma e doti personali che per inquadramento formale nelle gerarchie mafiose) dello schieramento dei perdenti nella seconda guerra di mafia dei primi anni ’80, in Sicilia. Raccontare le mafie è un’operazione complessa. Sappiamo già troppo e ancora troppo poco; ce ne accorgiamo quando stentiamo nel rispondere alla domanda su quale sarà il loro futuro, su cosa stia accadendo oggi e sul perché rimangano ancora tanti misteri intorno al loro operato. Troppi film, troppi libri, troppe discussioni per non rischiare ripetizioni, banalità e sensazionalismo. Forte il pericolo della fascinazione, soprattutto quando al centro si pone la figura di un uomo che è diventato un simbolo, quasi svuotato della propria identità (qualora questa potesse esistere fuori dal racconto, come insegnano Julia Kristeva e Kathleen Stewart) e la cui biografia, filtrata dalla memoria, è inestricabilmente intrecciata alle biografie e alle vicende storiche che lo hanno attraversato, cambiandolo progressivamente e definendone, nel tempo, anche l’immagine pubblica.