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DELIA FRANCESCA CHILLURA MARTINO

I ‘vasi di Centuripe’: per un approccio integrato

  • Autori: Portale, Elisa Chiara; Chillura Martino, Delia; Saladino, Maria Luisa; Caponetti, Eugenio; Chirco, Gabriella
  • Anno di pubblicazione: 2017
  • Tipologia: Capitolo o Saggio (Capitolo o saggio)
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/289633

Abstract

Il contributo intende evidenziare le prospettive di un approccio interdisciplinare integrato allo studio della ceramica policroma “di Centuripe”. Dagli inizi del XX secolo, tale classe ha riscosso ampio apprezzamento per le sue delicate pitture e la ricchezza di ornamenti a rilievo applicati (dipinti e dorati) che abbelliscono i vasi, rendendoli pressoché inutilizzabili nella pratica per scopi funzionali, ma altamente efficaci come doni funerari in antico, e oggi come pezzi di grande impatto per commercianti di antichità e collezionisti moderni. Data la piaga, diffusa fino a tempi recenti, degli scavi clandestini, dei “restauri” arbitrari e delle falsificazioni, i vasi di Centuripe necessitano di analisi scientifiche appropriate mirate a confermare sia l’autenticità degli oggetti che delle loro figurazioni dipinte, o anche di singoli dettagli (spesso aggiunti, rifatti o inventati dal “restauratore”). Due vasi di Centuripe di alta qualità, esposti nel Museo Archeologico Regionale “A. Salinas” di Palermo, sono stati oggetto di un’indagine attraverso tecniche spettroscopiche complementari (XRF e riflettanza totale FTIR), effettuate con strumentazione portatile. Le analisi hanno confermato la tecnica a tempera delle pitture, mostrando la presenza di pigmenti antichi ma anche moderni. Questi ultimi attestano dei “restauri” non documentati che hanno alterato lo stile originario e in parte il disegno delle figure (soprattutto nella pyxis), pur conservando l’iconografia generale di partenza. Uno dei risultati di maggior interesse è l’individuazione di due fasi del solfato di calcio nello strato di preparazione delle pitture: la presenza di bassanite fa riconoscere la tecnica di esecuzione antica, denotando una cottura a bassa temperatura preliminare alla vera e propria dipintura realizzata a crudo, a tempera. Al contrario, la presenza di gesso in altri punti rivela un intervento successivo: essa coincide del resto con i ritocchi o le tracce di pigmenti moderni individuati. La palette cromatica dei due vasi non è identica, così come lo stile e le decorazioni secondarie, ciò che viene a contraddire l’ipotesi avanzata da P. W. Deussen secondo cui i due esemplari oggi a Palermo e altri due acquisiti dallo stesso trafficante, ora nel Metropolitan Museum di New York, sarebbero appartenuti alla stessa tomba. Il lebes gamikos si contrassegna in particolare per l’uso di pigmenti più rari, come il cinabro e possibilmente l’azzurrite, e per la qualità del disegno. Gli stessi effetti cromatici non sono semplicemente legati al gusto, ma insieme all’iconografia e alla costruzione d’insieme del vaso concorrono alla realizzazione di un oggetto di corredo prestigioso e di grande valore simbolico, che suggerisce una qualche speranza o auspicio di immortalità per il defunto.