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ALFREDO CASAMENTO

Mihi cane et populo: Cicerone e l’autorappresentazione del successo oratorio. La questione del consenso popolare (Cic. Brut. 183–200)

Abstract

Come si rappresenta il proprio successo? La tradizione poetica greca e latina conosce straordinarie immagini di consacrazioni delle virtù di poeta, elaborate con ricche e ornate costruzioni, la cui persistenza nella memoria letteraria ne assicura la vitalità. A fronte di tali esibizioni virtuosistiche, che dichiarano l’orgoglio del successo, ve ne sono altre, costruite altrettanto finemente ma dall’architettura più complessa, perché fondata su una più mediata strategia. Su una di queste, proveniente da un testo in prosa, ma da un autore quale Cicerone che ambiva non a caso anche al riconoscimento come poeta, vorrei provare a riflettere. Il passo in questione è un’ampia sequenza del Brutus (§§ 183–200), in cui l’Arpinate affronta la questione nodale del giudizio popolare, questione tutt’altro che ampiamente condivisa, ma che a suo giudizio risulta fondamentale per operare una valutazione corretta del perfetto oratore. Si tratta di una considerazione, che, come vedremo, consente a Cicerone stesso un’ulteriore ribalta alle proprie scelte stilistiche, ribadendone le indiscutibili qualità. Parlare degli altri, dunque, per parlare (anche) di sé.