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SERGIO BONANZINGA

La musica dei mastri ferrai in Sicilia

Abstract

L’idea del “fabbro musicante” circola ampiamente nel mondo antico: dal mito biblico del fabbro Tubal-Kain, fratellastro di Jubal, progenitore dei suonatori di cetra e di flauto, al mito greco che attribuiva a Pitagora la scoperta degli intervalli musicali mentre passava dalla bottega di un fabbro, associato alla credenza che Pitagora conoscesse i segreti della musica su rivelazione dei Dattili, i mitici fabbri ritenuti inventori della musica e fondatori di rituali mistici. Nell’iconografia intesa a rappresentare la Musica nell’Allegoria delle sette arti liberali, che si diffonde in Europa a partire dal Trecento, Tubal-Kain è raffigurato proprio mentre percuote un’incudine con due martelli. La letteratura etnologica offre dal canto suo numerose esemplificazioni del particolare valore attribuito alla “musica dell’incudine” nelle società tradizionali. La cadenza della mazza del fabbro è considerata dai Dogon del Mali come l’espressione sonora maggiormente benefica e purificatrice e presso altre società africane e asiatiche sono osservabili pratiche musicali connesse al lavoro di forgia. Per il folklore europeo un esempio emblematico si può considerare il martinete, ossia il canto ritmato dal martello percosso sull’incudine che i gitani andalusi reputano una delle tonás originarie del cante jondo. Ma la più significativa persistenza del mito che associa l’origine della musica al battere dei fabbri sull’incudine si rileva in Sicilia: dalle testimonianze raccolte, intorno all’inizio del Novecento, dal musicista-etnografo Alberto Favara a quanto è stato possibile documentare con strumentazione moderna negli ultimi trent’anni.