Salta al contenuto principale
Passa alla visualizzazione normale.

CLELIA BARTOLI

Sull’universalità dei diritti umani

  • Autori: AA.VV.; BARTOLI C
  • Anno di pubblicazione: 2003
  • Tipologia: Curatela
  • Parole Chiave: Diritti umani, intercultura, universalismo, relativismo, giusnaturalismo e giuspositivismo
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/355266

Abstract

Nei pressi della locuzione ‘diritti umani’, in espressioni ordinarie e in celebri documenti, si trova spesso l’aggettivo ‘universale’. E tale aggettivo, apparentemente rassicurante ma tutto fuorché indiscusso, sarà il tema di questo decimo numero di «Kykéion». Si noti dapprima la polisemia del termine ‘universale’: in una prima accezione, significa ‘esteso a tutti’, di cui ciascuno partecipa e, riferito specificamente ai diritti umani, indica che questi dovrebbero essere riconosciuti a tutte le genti e ad ogni uomo, senza discriminazioni né eccezioni; che non dovrebbero essere il privilegio di individui particolari, di status speciali o di nazioni più agiate. In una seconda accezione, la voce ‘universale’ sta ad indicare qualcosa di naturale o che sia sorto da un percorso razionale integerrimo, che è evidente a qualsiasi essere umano dotato di discernimento, che fa parte della mente di tutti e che è dunque categoria imprescindibile, indipendente da considerazioni legate al periodo temporale o a circostanze localizzate. Il suo opposto è ‘relativo’, ‘soggettivo’, ‘contingente’ o anche ‘storico’. In sintesi, affermare che «i diritti umani sono universali», nel primo senso, significa che «sono riconosciuti a tutti», mentre nel secondo senso indica che «sono riconosciuti da tutti». La prima espressione fa riferimento ad un’estensione numerica dei diritti dell’uomo, la seconda ad un consenso concettuale e valoriale. Entrambi questi significati saranno oggetto dei contributi raccolti nel presente volume.