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SERGIO AIOSA

Sabratha. Riflessioni sull'urbanistica e sull'architettura religiosa della città punico-romana

Abstract

L'architettura religiosa di Sabratha è indagata tenendo conto tanto del contesto urbanistico nel quale sono inseriti gli edifici sacri quanto del contesto storico e religioso. L'indagine muove da una riflessioni sulle origini dell'emporio punico nel corso del quale si rivedono alcune ipotesi concernenti le principali divinità cittadine. Stante la sostanziale assenza delle massime divinità di Cartagine, emerge anche una certa autonomia, non priva di risvolti politici, del pantheon sabrathense da quello della capitale punica. La stessa dea Tanit è nota solo dal tophet, quindi conta attestazioni relativamente recenti, ben lontane dai tempi della fondazione degli emporia, che le fonti letterarie proiettano in un passato “mitico” mentre il dato archeologico prospetta, specie per Sabratha, una realtà differente. Ne conseguono oscillazioni sensibili fra le ipotesi circa l'introduzione di divinità di primo piano nel contesto sabrathense, quali sarebbero attestate dalle emissioni monetali locali, come Melqart-Ercole, considerato un apporto dei “coloni” fenici oppure una divinità emanata da Cartagine oppure ancora un Ercole prettamente romano, quando non segnatamente “commodiano”. La riflessione sui tipi monetali concerne anche le emissioni con Serapide, la cui iconografia si differenzia nettamente da quella delle monete di Alessandria. Ciò induce a riflettere su una problematica raffigurazione di un edificio di culto pentastilo sul rovescio, proponendone una lettura alternativa. Anche le monete denunciano una significativa autonomia dai tipi di Cartagine, contraddistinti da una ben nota ripetitività e sembrano rivelare per un verso più marcati contatti con un contesto semitico orientale e per l'altro contatti con alcune emissioni nordafricane la cui differenza dalle emissioni della capitale punica denuncia un'autonomia volutamente dichiarata. Circa una più marcata apertura verso divinità prettamente orientali, quale si registrerebbe nella piena età imperiale, il ruolo di Iulia Domna viene attenuato a favore di un'anticipazione di qualche decennio, periodo nel quale proprio a Sabratha è registrata più volte la presenza di Apuleio, la cui influenza potrebbe aver determinato le scelte iconografiche adottate per la decorazione scultorea del pulpito del Teatro cittadino (sottolineando anche come i temi prescelti siano riflessi in altre testimonianze materiali locali, dalle lucerne agli affreschi delle architetture private). Quest'ultimo sembra potersi datare con precisione maggiore, rigettando le consuete proposte di identificazione dei ritratti imperiali della scena di sacrificio raffigurata nella nicchia centrale del pulpito, ospitante il cosiddetto “patto di fedeltà” fra Roma e Sabratha e anticipando la tradizionale cronologia dei rilievi. L'intera questione è sottoposta ad una revisione, evidenziando la problematicità dell'interpretazione tradizionale e ponendo in rilievo come altre presunte raffigurazioni della Dea Roma, tanto a Sabratha quanto a Leptis Magna, destino altrettante perplessità. Circa Leptis ciò inevitabilmente conduce ad un rapido riesame della questione delle divinità titolari dei tre templi del lato nordoccidentale del Foro Vecchio e viene prudentemente delineata un'ipotesi circa l'intitolazione dell'edificio di culto minore. Questo lungo excursus sulla religione di Sabratha è necessariamente condotto, come le considerazioni seguenti, tenendo in conto quanto documentato a Leptis e, in misura minore, stante la carenza di notizie, a Oea ma, al tempo stesso, tenendo ben presente come l'evoluzione dei due più noti emporia di Tripolitania, sia proceduta con ritmi ben differenti e ciò fin dall'età ellenistica. Sempre nell'ottica di una revisione condotta a partire dall'esame dei monumenti e del loro contesto viene posta la questione delle influenze alessandrine, ritenute operanti tanto nella definizione dell'assetto religioso sabrathense quanto nella determinazione di