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STEFANIA CROBE

Come le lucciole. Sperimentazioni artistiche e fermenti culturali tra margini territoriali e disciplinari

Abstract

La rincorsa al progresso, l'ossessione della crescita economica, l'enfatizzarsi del pensiero dicotomico, hanno portato a delle spaccature, delle 'discrepanze', sia dal punto di vista territoriale che disciplinare. Un processo di artificializzazione e desacralizzazione la cui deriva è rappresentata da una progressiva distruzione dello stesso habitat naturale, dalla rottura dei rapporti co-evolutivi tra uomo e ambiente e da una separazione esponenziale tra soggetto osservante e oggetto osservato, che ha portato a una epistemologia deterministica e tecnofila, con il progressivo abbandono e rifiuto dei linguaggi sensibili nel processo di analisi e produzione del territorio. Facendo ricorso alle teorie dell'urbanesimo planetario come processo che ha portato ad una mondializzazione dell’urbano e alla nascita di nuove forme ibride nelle quali è sempre più difficile riscontrare una differenza netta tra città e non-città, viene avanzata l'ipotesi che le polarizzazioni centro/periferia, urbano/non urbano possano essere ripensate attraverso il ricorso ai linguaggi sensibili e all'arte – nella sua dimensione relazionale e engagée – capace di rispondere alla rottura arrecata dalla modernità, che ha enfatizzato le dicotomie, attraverso una molteplicità di linguaggi necessari per “rigenerare lo sguardo” e ripensare in maniera altra i territori, agendo come dispositivo per la conoscenza, ri-appropriazione, re-invenzione dello spazio urbano e sociale, dando vita a inedite connessioni.