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ALDO SCHIAVELLO

Ripensare l'età dei diritti

Abstract

L’età dei diritti è l’esito della rivoluzione copernicana che ha messo al centro della riflessione politica l’individuo, il quale non è più considerato come la parte del tutto rappresentato dalla società e dallo stato. Da un punto di vista storico, l’età dei diritti designa il periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Essa intende marcare una radicale rottura rispetto ai totalitarismi ed alle atrocità che hanno caratterizzato il periodo antecedente ed è espressione della fiducia dell’umanità nella possibilità di un reale progresso morale universale, che presuppone la condivisione di alcuni valori, il rispetto degli individui e dei loro diritti, il rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. La fiducia e la scommessa in un futuro migliore sono, senza dubbio, la cifra dell’età dei diritti. L’esigenza di ripensare l’età dei diritti potrebbe apparire paradossale in un momento in cui il linguaggio dei diritti si è imposto come la lingua franca del discorso pubblico globale. Eppure c’è un senso in cui non è esagerato decretare addirittura la fine dell’età dei diritti. Il punto cruciale concerne il modo in cui si è evoluto il linguaggio dei diritti e le aspettative che ciascuno ripone nei diritti. L’impressione è che sia ormai molto diffusa la consapevolezza che il linguaggio dei diritti è l’idioletto attraverso il quale avanzare pretese e rivendicazioni nell’arena pubblica se si desidera che le une e le altre abbiano delle chance di essere accolte. Si può addirittura sostenere che l’uso retorico e spregiudicato del linguaggio dei diritti al fine di incrementare la forza delle proprie rivendicazioni politiche sia uno degli esiti pressoché inevitabili della costituzionalizzazione degli ordinamenti giuridici. Non c’è in definitiva alcunché di paradossale né di roboante o di retorico nel decretare la fine dell’età dei diritti in presenza di un discorso pubblico tutto incentrato sui diritti e sulla loro tutela.