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GIULIO GERBINO

Giovani devianti, desistenza dal crimine, riflessività: note su una ricerca

Abstract

La ricerca che viene presentata nel paper mette a fuoco il fenomeno della desistenza dal crimine da parte di giovani devianti in alcune città siciliane, evidenziando come entri in gioco la dimensione della riflessività individuale, nel contesto delle loro relazioni con gli operatori sociali che si occupano delle loro vicende giudiziarie. Quello della desistenza non è un fenomeno così raro, come talvolta si ritiene, ma effettivamente assai frequente, come documenta la ricerca socio-criminologica, specie quella che opera nell’ambito della developmental life-course criminology, un indirizzo di studio interdisciplinare che tematizza i fenomeni devianti e criminali in chiave dinamica, inquadrandoli cioè nei percorsi di vita degli individui. Le scienze sociali, infatti, hanno profuso i loro sforzi, producendo una notevole mole di studi e ricerche, per formulare risposte perlopiù a due fondamentali quesiti: come si diventa devianti? perché si devia? Studiare la desistenza diventa altrettanto rilevante, poiché può offrire nuovi e interessanti elementi, oltre che meramente conoscitivi, anche in vista della messa a punto di appropriate politiche di prevenzione e controllo. I percorsi di vita degli individui si articolano in traiettorie, variamente intersecate, interrotte, spostate o avviate da eventi, voluti o subiti, previsti o imprevisti, rispetto ai quali gli individui, colti nelle connessioni relazionali nei vari ambiti istituzionali o informali, sono sollecitati a porre in essere azioni e strategie di fronteggiamento. Un elemento che gioca un ruolo-chiave in questi processi è la riflessività, intesa come capacità umana di sviluppare una “conversazione interiore” (M. Archer) che, attraverso un matching tra input del contesto di vita e “premure ultime” del soggetto, consente a quest’ultimo di formulare e adattare continuamente un proprio modus vivendi e di fronteggiare così gli eventi-chiave e i turning points sia del proprio corso di vita sia di quelli degli altri significativi. La ricerca, in continuità con un primo studio empirico svoltosi nel 2010, indaga dunque le modalità attraverso le quali, nei percorsi di giovani desistenti selezionati in collaborazione con alcuni Uffici di Servizio Sociale per i Minori (ministero della Giustizia) della Sicilia, si manifesta un ripristino o potenziamento della riflessività individuale che sostiene e sostanzia la scelta di desistere dal crimine e di impegnarsi nella costruzione o valorizzazione del capitale sociale. Uno dei dati salienti della ricerca, che rimanda anche a risultati consolidati nella letteratura internazionale, riguarda la rilevanza del controllo sociale informale esercitato da buone relazioni sentimentali e da buoni lavori. Ma non è soltanto il lavoro come strumento legittimo per conseguire un reddito a rappresentare l’incentivo per la scelta di desistere: si tratta piuttosto della realtà relazionale del lavoro, dell’essere riconosciuti socialmente e del riconoscersi in una appartenenza, della gratificazione che deriva dall’essere e sentirsi autonomi. Un dato specifico di questa indagine concerne invece il ruolo incisivo degli operatori sociali e dei servizi che hanno orientato e supportato i percorsi di vita dei giovani desistenti: qui emerge, come elemento centrale, la riflessività, tanto degli operatori quanto dei servizi nel loro complesso, nel modulare gli interventi puntando a valorizzare la riflessività dei loro utenti. Questo si traduce in una cura assai particolare della relazione con il giovane da parte dell’operatore, il quale agisce un ruolo che prende le distanze da impostazioni didascaliche, dalla ripetizione standardizzata di tecniche e azioni consolidate delle professioni di aiuto, dall’imposizione di comportamenti conformi in cambio di benefici nei procedimenti penali: quelli studiati nella ricerca sono operatori e servizi riflessivi nel senso di relazionali, secondo una consolidata linea di pensiero e ricer