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IVANO CAVALLINI

Quattro diagnosi sul Florario di Francesco Buti

Abstract

Il messaggio etico dei testi di Francesco Buti per i "Fiori" di Girolamo Kapsperger (villanelle a 1,2,3,4 voci e Bc. del 1632) e la ricercata semplicità della musica giustificano la scelta anacronistica e stilisticamente inappropriata della titolazione di genere scelta da Kapsperger o dall’editore Masotti. Il termine villanella allude in questo caso a un giardino in cui i fiori formano un mazzetto di allegorie per il buon cristiano. Più specificamente i soggetti riguardano i miti classici collegati ai vegetali, ai quali si ispira l’autore per riprendere le leggende sull’origine dal sangue o dal latte degli dei, da cui nacquero per metamorfosi il gelsomino, la viola, la rosa, l’amaranto, l’anemone, il giacinto, il narciso e l’iris. Qualche sospetto di incongruenza può destare la vicinanza delle liriche sui fiori a quelle più astratte sui vizi e le passioni. Tuttavia, il trattamento riservato ai temi floreali, che divengono sotto la penna di Buti espressione del pensiero cattolico, elimina qualsiasi iato concettuale tra le une e le altre. Sensibile al fascino delle digressioni botaniche di Giovambattista Marino, il giovane Buti conferisce ai fiori un ruolo metaforico per trarre dai relativi mitologemi altrettanti insegnamenti morali. In virtù della loro forza evocativa i testi si inseriscono nel più ampio panorama della poesia per immagini, sulla base di un ideale estetico che tramuta l’atto verbale in ‘pittura parlante’, giusta la definizione oraziana ripresa dal napoletano nelle "Dicerie sacre" (1614). L'ispirazione a comporre i "Fiori" nasce nell'ambito della civiltà dei giardini romani e si colloca nel contesto del mecenatismo del cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII. Inoltre, l’uso dell’ékfrasis è evidente nella poesia sulla passiflora o Flos Passionis. Denominato dai conquistadores spagnoli granadilla, il fiore, grazie ai gesuiti diviene il simbolo della crocifissione di Cristo e contiene in sé l’“officium occultandi” e la “ratio docendi”. La diffusione di immagini in assenza del fiore autentico induce un folto gruppo di poeti a metaforizzare i componenti della passiflora in relazione alla croce. Tuttavia, l’interesse per questo soggetto diminuisce allorquando i trattati di botanica e i protestanti ritraggono la vera passiflora, contestando ogni forma di devozione ad essa collegata.