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GIANNA MARIA CAPPELLO

Chi ha paura di Tony Soprano? Storie di mafia in tv, tra tradizione e innovazione

Abstract

nel più generale ambito degli studi sull’impatto delle rappresentazioni sociali nella costruzione di certi fenomeni (Moscovici 1984), la tesi che mi accingo a sostenere è che l’analisi delle fiction televisiva dedicata alla mafia può essere uno strumento molto utile per inquadrare il fenomeno «in una cornice che ne rispetti la complessità, evitando processi di enfatizzazione o di sottovalutazione della sua entità criminale e della sua pericolosità, non perdendo neanche di vista le stratificazioni retoriche che il tema possiede» (Dino 2009, p. 59). Questo inquadramento socio-culturologico può fornire importanti chiavi di lettura su come i discorsi dei media (nel nostro caso la fiction televisiva), incrociandosi con i discorsi sui media, prodotti sia dagli “addetti ai lavori” (produttori e autori televisivi, critici, studiosi e divulgatori vari), sia dal pubblico, concorrono a costruire un immaginario collettivo da cui poi trarranno origine forme, modi e finalità dell’azione sociale, ovvero modelli di comportamento, stili di vita, soluzioni. In altri termini, si tratta di vedere come la costruzione culturale della mafia partecipa, nel bene e nel male, alla costruzione del fenomeno stesso come “problema sociale”, della società ove esso si verifica, e delle politiche approntate per affrontarlo (Griswold 2004).