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GIANNA MARIA CAPPELLO

Verso un "multiculturalismo quotidiano". Radici,diaspore e pratiche educative

Abstract

La riflessione scientifica e l’azione politica andrebbero orientate verso la dispersa fenomenologia di un «multiculturalismo quotidiano» lontano dai riflettori, non incardinato e non pianificato, che nella sua ordinarietà diventa sia un punto di osservazione privilegiato per analizzare il complesso (e spesso conflittuale) intrecciarsi di differenze e identità, sia una risorsa relazionale e politica per rivendicare diritti, ottenere visibilità o più “tatticamente” per cogliere opportunità nel contesto imprevisto in cui queste si presentano. In quanto risorsa storica, questa forma di multiculturalismo si riappropria di una valenza politica che comprende e al tempo stesso trascende la differenza concentrandosi su una dimensione contestuale e metaculturale grazie alla quale diventa possibile cominciare a immaginare i profili di una convivenza democratica in cui ciò che conta non è tanto chiedersi “chi siamo” e “da dove veniamo” quanto scoprire “chi possiamo diventare”, “con chi” e “a quali condizioni”. Una riflessione viene dedicata al ruolo vitale che l’educazione, nei suoi molteplici ambiti e pratiche, è chiamata a svolgere nella costruzione di una società multiculturale. Per quanto questo ruolo sia oramai ampiamente riconosciuto, tuttavia esso risulta troppo spesso declinato secondo una discutibile versione di pluralismo culturale che risolve la differenza e il rapporto con l’Altro o nello spazio sentimentale delle relazioni perso-nali o nei termini “orientalizzanti” della curiosità folcloristica per l’esotico, una curiosità assecondata di frequente dall’Altro stesso, come lucidamente mette in rilievo il grande regista indiano Satyajit Ray, «Non c’è ragione per non approfittare della curiosità straniera per l’Oriente. Ma questo non deve significare che si debba assecondarne l’amore per il finto esotico. Bisogna sgombrare il campo da un gran numero di nozioni sul nostro paese e sulla nostra gente, anche se potrebbe essere più facile e [...] più gratificante as-secondare i miti esistenti piuttosto che distruggerli» [cit. in Sen, 1998:3]